il giudice di pace

    Ha  emesso  la  seguente ordinanza nella causa civile iscritta in
data  18  settembre  2003  al  n. 175/0/03 del Ruolo Generale per gli
affari  contenziosi dell'anno 2003 e vertente tra Negri Luca, nato ad
Ostiglia (MN) l'8 gennaio 1984 e residente in Castelnovo Bariano (RE)
via Argine Po n. 126, in proprio opponente.
    Prefetto  pro-tempore di Rovigo, domiciliato per la carica presso
U.T.G. Prefettura di Rovigo opposto;
    Premette  in  fatto  che  in  data 29 luglio 2003, alle ore 15,53
l'App.  Fantauzzi  Marco  ed  il  Cre  Coppola Francesco, in servizio
presso  la  Stazione CC di Occhiobello, accertavano ed immediatamente
contestavano   con   verbale  serie  2002  n. 0581409,  in  localita'
Occhiobello  (Ro)  via Malcantone, che il sig. Negri Luca, alla guida
della  autovettura  Fiat  Bravo  targata AL 524 RE, ed identificato a
mezzo  pat.  categ.  A-B  n. Ro 505855 rilasciata il 21 dicembre 2002
dalla  M.C.T.C.  di  Rovigo,  aveva violato la norma del Codice della
Strada  di  cui  all'art. 172  comma 1 e 8 perche' il «conducente del
veicolo sopra indicato, non faceva uso delle cinture di sicurezza. Lo
stesso  viene portato a conoscenza che il presente verbale decurtera'
della  propria  patente di guida 10 punti, in quanto ha conseguito la
patente da meno di 5 anni».
    Il  sig.  Negri  Luca  non  risulta  aver  ritenuto di contestare
immediatamente   la   violazione,  essendo  per  altro  espressamente
specificato  «Nulla»  nello  spazio  riservato alle dichiarazioni del
trasgressore.
    Si  precisa,  infine,  che  tra  le modalita' di estinzione della
violazione  viene  indicata  -  nel  modello  prestampato in uso - la
facolta' di adire «entro 60 gg. della constatazione ... al giudice di
Pace di Ficarolo».
    In  data  18  settembre  2003  il  sig.  Negri  Luca, con rituale
deposito  in cancelleria, proponeva opposizione avverso il verbale di
accertamento n. 0581409 elevato in data 29 luglio 2003 dalla Stazione
Carabinieri  del  Comune  di  Occhiobello  (Ro) premettendo che «tale
verbale  richiede il pagamento della somma di euro 68,25 per sanzione
pecuniaria;  ...  omissis ... comporta la decurtazione di n. 10 punti
della  patente  di  guida  ....  omissis  ...  la  suddetta  sanzione
accessoria   appare   ingiusta   e  gravatoria  nella  ragione  della
ricorrente  ...»,  e  sostenendo  che  dalla novellata disciplina del
Codice  stradale  «si  desume  che  il  raddoppio  dei  punti  per  i
neopatentati  si  applica  solo  per le patenti rilasciate dopo il 1°
ottobre  2003. ll neopatentato, ai fini del raddoppio del punteggio e
della  decurtazione,  diventa  solo  chi ha la patente da meno di tre
anni».
    Il  ricorrente  precisa altresi' che «ha conseguito la patente in
data  20  aprile  2002  (quindi prima del 1° ottobre 2003)» e «previo
versamento  di  deposito  cauzionale di una somma pari alla meta' del
massimo  della sanzione edittale prevista per la violazione» conclude
per  l'accoglimento  della richiesta di «sospensione dell'esecuzione»
con  «fissazione  dell'udienza  di  comparizione delle parti» nonche'
della «emanazione del decreto» di annullamento del verbale n. 0581409
del  29 luglio 2003 elevato dalla Stazione dei Carabinieri del comune
di  Occhiobello in quanto illegittimo» oltre alla compensazione delle
spese di lite «nel caso in ricorso non possa essere accettato».
    La  parte ricorrente non produce alcuna documentazione probatoria
dell'asserito  conseguimento della patente di guida in data 20 aprile
2002;  ma  offre, per altro, in comunicazione fotocopia della propria
patente  di  guida  dalla  quale  si  evince  il  rilascio in data 21
dicembre  2002 (circostanza, per altro, gia' acclarata nel verbale di
contestazione contro cui si ricorre).
    Inoltre   il   ricorrente   provvede   al   contestuale  deposito
giudiziario  presso  la  cancelleria  di  questo ufficio del libretto
n. 015345 rilasciato dall'ufficio postale di Ficarolo (RO) in data 18
settembre  2003  quale «cauzione art. 204-bis legge, 214/2003 verbale
n. 581409  Carabinieri  di Occhiobbelbo 29 luglio 2003» per l'importo
di euro 136,50 (centotrentasei/50).
    Si  osserva  in  diritto che per il caso di specie la sanzione da
comminare  al  trasgressore  e  prevista  dal decreto-legge 27 giugno
2003, n. 151 recante modifiche ed interazioni al. codice della strada
(G.U.  n. 149,  del  30  giugno  2003) che all'art. 3 «modifiche alle
norme   di   comportamento»   testualmente   recita   al   comma  12.
«all'articolo  172  del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e
successive modificazioni, sono apportate le seguenti modifiche: a) al
comma 8 le parole: «alla sanzione amministrativa del pagamento di una
somma  da  euro  33,60 a euro 137,55» sono sostituite dalle seguenti:
«alla  sanzione  amministrativa  del  pagamento  di una somma da euro
68,25 a euro 275,10».
    Tale previsione sanzionatoria e' stata successivamente confermata
nella   legge   di  conversione;  talche'  il  testo  coordinato  del
decreto-legge  27  giugno 2003, n. 151 con la legge di conversione 1°
agosto  2003,  n. 214,  recante: «modifiche ed integrazioni al codice
della  strada»  (suppl  ord n. 133/1 alla G.U. 12 agosto 2003 n. 186)
nelle note al predetto art. 3 «modifiche alle norme di comportamento»
testualmente recita «il testo vigente dell'art. 172, commi 8 e 9, del
decreto  legislative n. 285 del 1992, come modificato dalla legge qui
pubblicata  e'  il seguente: «8. chiunque non fa uso delle cinture di
sicurezza  o  dei  sistemi  di  ritenuta  previsti  e'  soggetto alla
sanzione  amministrativa  del  pagamento di una somma da euro 68,25 a
euro 275,10.
    Omissis ...
    Sempre  in  via  preliminare  vale evidenziare che citato il d.l.
n. 151/2003,  all'art. 7 Disposizioni finali e transitonie, altresi',
recitava  «...  omissis  ... comma 10. La tabella allegata al decreto
legislativo  15  gennaio  2002,  n. 9,  recante  i  punteggi previsti
dall'articolo 126-bis del decreto legislative 20 aprile 1992, n. 285,
e  successive  modificazioni, e' sostituita della tabella allegata al
presente  decreto.  ...  omissis  ...  Allegato  Tabella dei Punteggi
previsti  all'art.  126-bis  ...  omissis  ... Norma violata art. 172
comma  8  punti  5 ... omissis ... Per le violazioni commesse entro i
primi  cinque  anni  dal  rilascio  della  patente  di guida, i punti
riportati  nella  presente tabella, per ogni singola violazione, sono
raddoppiati».
    La  legge  di  conversione,  ha  pero'  introdotto  -  per quanto
d'interesse  nel caso che ci occupa - una significativa e sostanziale
modifica  alla decorrenza della previsione sanzionatoria a carico dei
c.d.  «neopatentati»,  come esplicitato in calce alla gia' richiamata
«tabella-punti».  Infatti,  come si legge a pag. 24 della G.U. suppl.
133/L  recante il testo della legge 1° agosto 2003, n. 214, ed ancora
nel  Testo coordinato del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 con la
legge  di  conversione 1° agosto 2003, n. 214, recante: «Modifiche ed
integrazioni  al  codice  della strada» (pure in suppl. ord. n. 133/L
alla  G.U.  12  agosto  2003  n. 186) nelle note al predetto Allegato
«Tabella  del  punteggi  previsti all'articolo 126-bis... omissis ...
Norma  violata  art.  172  commi 8 e 9 punti 5 ... omissis ... Per le
patenti  rilasciate successivamente al 1° ottobre 2003 a soggetti che
non  siano gia' titolari di altra patente di categoria B o superiore,
i   punti   riportati   nella  presente  tabella,  per  ogni  singola
violazione,  sono  raddoppiati  qualora  le violazioni siano commesse
entro i primi tre anni dal rilascio».
    Alla  predetta  Tabella  -  unico  riferimento al raddoppio delle
detrazioni  di  punteggio  per  i  neopatentati - fa espresso rimando
l'art. 126-bis  (Patente a punti) del decreto legislativo 285/1992 «-
1.  All'atto del rilascio della patente viene attribuito un punteggio
di  venti  punti.  Tale  punteggio,  annotato nell'anagrafe nazionale
degli  abilitati  alla  guida di cui agli articoli 225 e 226, subisce
decurtazioni, nella misura indicata nella tabella allegata, a seguito
della comunicazione all'anagrafe di cui sopra della violazione di una
delle  norme  per  le  quali  e'  prevista la sanzione amministrativa
accessoria della sospensione della patente ovvero di una tra le norme
di comportamento di cui al titolo V, indicate nella tabella medesima.
L'indicazione   del   punteggio  relativo  ad  ogni  violazione  deve
risultare dal verbale di contestazione. ... omissis ...
    Risolve   ulteriormente  in  senso  chiarificatore  la  circolare
n. 300/A/l/44248/109/16/l   del   12  agosto  2003  Disposizioni  per
l'applicazione della disciplina della patente a punti con la quale il
Ministero  dell'Interno,  dipartimento  della  pubblica  sicurezza al
punto  «2.  Violazioni  che determinano la decurtazione del unteggio»
chiarisce  ...  omissis  ...  2.3.  Raddoppio  per  neopatentati.  La
violazione  comporta  la  decurtazione  di punteggio in misura doppia
rispetto  a  quella  prevista nella tabella allegata all'art. 126-bis
c.d.s. quando e' commessa da neopatentati, cioe' se e' commessa entro
i  primi  3  anni  dal  rilascio  della patente. Questa disposizione,
tuttavia,  riguarda  solo  le  patenti di guida rilasciate dopo il 1°
ottobre 2003 ed a condizione che il titolare non sia gia' in possesso
di  patente  di  categoria  B  o  superiore  prima  di  tale data ...
omissis».
    La  disposizione  volta a decurtare il punteggio in misura doppia
per  i  neopatentati  non  potrebbe,  pertanto,  ragionevolmente  che
entrare  in vigore - a seguito delle intervenute modifiche in sede di
conversione  del  d.l.  151/2003  -  solo  dal prossimo 1° ottobre ed
esclusivamente  per  le  patenti  rilasciate dopo tale data, e per di
piu'  a carico di chi non era gia' in possesso di patente di guida di
altra categoria.
    Vale  altresi'  ricordare  che  a  seguito delle modificazioni ed
integrazioni apportate in sede di conversione del d.l. 151/2003 dalla
legge  1° agosto 2003, n. 214, recante: «Modifiche ed integrazioni al
codici  della strada» (suppl. ord n. 133/L alla Gazzetta Ufficiale 12
agosto  2003 n. 186) con «l'art. 4. Modifiche alle norme inerenti gli
illeciti  amministrativi  e  relative  sanzioni comma 1-septies. Dopo
l'articolo  204  del  decreto  legislativo  30 aprile 1992, n. 285, e
successive  modificazioni,  e'  inserito  il  seguente: «Art. 204-bis
(Ricorso al giudice di pace). - 1. Alternativamente alla proposizione
del  ricorso  di  cui  all'articolo  203, il trasgressore o gli altri
soggetti indicati nell'articolo 196, qualora non sia stato effettuato
il pagamento in misura ridotta nei casi in cui e' consentito, possono
proporre  ricorso al giudice di pace competente per il territorio del
luogo in cui e' stata commessa la violazione, nel termine di sessanta
giorni  dalla  data  di  contestazione  o  di  notificazione. 2. ....
omissis.
    3.  -  All'atto  del  deposito  del  ricorso,  il ricorrente deve
versare  presso  la  cancelleria  del  giudice  di  pace,  a  pena di
inammissibilita'  del  ricorso, una somma pari alla meta' del massimo
edittale  della  sanzione  inflitta  dall'organo  accertatore.  Detta
somma,  in  caso  di  accoglimento  del  ricorso,  e'  restituita  al
ricorrente.
    4.  Il  ricorso  e',  del  pari,  inammissibile qualora sia stato
previamente presentato il ricorso di cui all'articolo 203.»
    La   previsione   letterale   ex   comma   3  del  neo-introdotto
art. 204-bis   d.lgs.   n. 285/1992,  parrebbe,  pero',  in  evidente
contrasto  con il vigente art. 4 del r.d.l. 10 marzo 1910 n. 149 «...
i cancellieri non possono ricevere dalle parti o dai loro procuratori
alcuna  somma in denaro per qualsiasi titolo. Contravvenendo a questa
disposizione,  sono  assoggettati  alle  pene  disciplinari stabilite
dalla legge sull'ordinamento giudiziario».
    Sul   punto   e'   intervenuto   il   Ministero  della  giustizia
dipartimento  per  gli  affari di giustizia, direzione generale della
giustizia   civile,   con   circolare   n. 53   del  13  agosto  2003
puntualizzando  che  «poiche', ai sensi dell'art. 4 del r.d. 10 marzo
1910  n. 149, tutt'ora in vigore, le cancellerie non possono in alcun
modo  ricevere  versamenti in denaro, e' evidente che la formulazione
letterale  del  testo  («deve  versare presso la cancelleria ..., una
somma  ...») deve necessariamente essere interpretata alla luce della
vigente  normativa,  individuando modalita' alternative di versamento
presso altri organismi abilitati a ricevere e gestire il deposito.
    Considerate anche le diverse fasi conseguenti al versamento della
cauzione,  previste  dalla  nuova  formulazione dell'articolo, questa
Direzione  Generale  ritiene  che  lo  strumento  piu'  idoneo per la
gestione   dell'importo   versato,   sia   il  libretto  di  deposito
giudiziario  aperto  presso  l'Ente  Poste.  Tale strumento, infatti,
oltre  ad  assicurare  all'utenza  uniformita' da parte degli uffici,
presenti   sul  territorio,  ha  il  pregio  della  gratuita',  senza
penalizzare  il  ricorrente  relativamente  agli interessi, in quanto
anche  quello postale e' ormai deposito fruttifero. Tale strumento e'
peraltro  individuato  anche  dall'art. 2  del  citato r.d. 149/1910,
(«tutti  i depositi in denaro che, secondo le disposizioni vigenti in
materia   civile   e  penale  possono  farsi  presso  le  cancellerie
giudiziarie,  compresi  quelli  per cauzione e per spese giudiziarie,
debbono   essere   eseguiti  direttamente  dalle  parti  o  dai  loro
procuratori nell'ufficio postale incaricato»)».
    Tutto   cio'   premesso,   esaminati  gli  atti,  questo  giudice
preliminarmente  rileva  come  il  predetto  ricorso in opposizione a
sanzione  amministrativa  sia stato depositato in cancelleria in data
18 settembre 2003 con il contestuale deposito giudiziario della somma
di  euro  135,50 ed a cio', all'esito della preliminare valutazione a
lui  demandata,  osserva  come  il  ricorso  venga  proposto,  con il
deposito   giudiziario   la   somma,  appunto,  di  euro  135,50  che
corrisponde  al doppio del minimo della sanzione edittale prevista ed
indicata  nel  verbale  quale  somma  ridotta  a fini estintivi (euro
68,25), ma non e' pari alla meta' del massimo edittale della sanzione
inflitta dall'organo accertatore.
    Infatti  il  deposito giudiziale cui avrebbe dovuto provvedere il
ricorrente  avrebbe  dovuto  essere  piu' esattamente di euro 137,55,
cioe' la meta' di euro 275,10.
    Il  ricorrente  non ha, pertanto, adempiuto all'obbligo, previsto
all'art. 204-bis  del novellato d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, a pena
di inammissibilita' del ricorso, del versamento presso la cancelleria
del  giudice  di  pace,  di  una  somma  pari  alla meta' del massimo
edittale della sanzione inflitta dall'organo accertatore.
    Questo  giudice  ritiene,  pero'  che  l'art. 204-bis del decreto
legislalvo  30  aprile  1992 n. 285, introdotto dalla legge 1° agosto
2003 n. 214 che ha convertito in legge, con modificazioni, il decreto
legge  27  maggio  2003  n. 151  non  sia  conforme a Costituzione e,
pertanto,   in   via   incidentale,  rileva  d'ufficio  questione  di
legittimita' costituzionale, come segue:
    Sulla rilevanza della questione.
    Nel  caso di specie il collegamento giuridico, e non gia' di mero
fatto,  tra  la  res  giudicanda  e  la  norma  di legge ritenuta, in
contrasto con il dettato costituzionale, e' ictu oculi e fondamentale
ai  fini processuali; atteso il rapporto di strumentalita' necessaria
fra  la  risoluzione  della  questione  e  la  decisione del giudizio
principale.
    Infatti,  ove  si ritenesse l'art. 204-bis del decreto legisltivo
30  aprile  1992 n. 285, introdotto dalla legge 1° agosto 2003 n. 214
che  ha  convertito  in legge, con modificazioni, il decreto-legge 27
giugno  2003  n. 151  conforme  a  Costituzione,  il ricorso andrebbe
dichiarato   inammissibile   de   plano   senza   previa   fissazione
dell'udienza  di  discussione  e la convocazione delle parti, ma solo
con la semplice comunicazione alle stesse della decisione.
    Al  contrario, ove si ritenesse il predetto disposto in contrasto
con  la  Costituzione la suddetta opposizione potra' essere esaminata
nel merito.
    Per  altro  e' sottratto al Giudicante ogni e qualsiasi potere di
disporre  il  versamento,  o  l'integrazione  (che nel caso di specie
sarebbe  di un euro e cinque centesimi !) della «cauzione» ex comma 3
art. 204-bis  285/1992,  dovendogli,  invece, definire il ricorso con
declaratoria  di  non  ammissibilita' gia' all'atto della valutazione
preliminare  a  lui  demandata,  senza  dare  pertanto luogo ad alcun
ulteriore adempimento processuale
    Sulla manifesta infondatezza.
    Violazione degli artt. 2 e 3 cost.
    La norma in questione, disponendo il versamento di una somma pari
alla  meta'  del  massimo edittale della disposizione di legge che si
ritiene violata, somma che, risulta essere addirittura pari al doppio
di  quella  che  consentirebbe  di  definire  la pendenza mediante il
pagamento  in  misura  ridotta, discrimina evidentemente i cittadini,
consentendo  solo  a  quelli abbienti di ricorrere alla giurisdizione
civile, ed impedendolo, di fatto, a quelli che abbienti non sono.
    Si  consideri,  difatti, che il cosiddetto deposito cauzionale in
questione puo' arrivare a toccare somme ingenti. Basti, a mero titolo
di  esempio,  notare  che  il  ricorso avverso la constatazione della
violazione   all'art. 179   comma   2-bis,   c.d.s.  ultimo  periodo,
comporterebbe  la  «cauzione»  di  euro  3.200,  pari  alla meta' del
massimo  edittale  di  euro  6.400.  Somma,  anche  in  questo  caso,
addirittura  ipoteticamente sovrabbondante rispetto alla sanzione che
dovrebbe essere determinata dal libero convincimento del giudice, ove
si  consideri, ulteriormente, che ex comma «5. In caso di rigetto del
ricorso,  il giudice di pace, nella determinazione dell'importo della
sanzione,    assegna,   con   sentenza   immediatamente   eseguibile,
all'amministrazione  cui  appartiene  l'organo  accertatore, la somma
determinata,  autorizzandone  il prelievo dalla cauzione prestata dal
ricorrente  in  caso  di  sua  capienza; ... omissis ... La eventuale
somma residua e' restituita al ricorrente.»
    Appare  da  cio'  tautologico  che  ritenere  l'art. 204-bis  del
decreto  legislativo  30  aprile  1992 n. 285, introdotto dalla legge
1° agosto  2003 n. 214 che ha convertito in legge, con modificazioni,
il   decreto   legge  27  giugno  2003  n. 151  conforme  al  dettato
costituzionale  costringerebbe  ad affermare che la diversa posizione
che   il   legislatore   ha   riservato   a   cittadino   e  pubblica
amministrazione,  oltre  che  a  cittadino  abbiente  e cittadino non
abbiente, non violi alcun precetto costituzionale.
    Del  tutto  evidente, alla luce di quanto sopra, come il disposto
che  questo giudice ritiene incostituzionale si presti a tale censura
in  quanto  l'art. 3  della  Costituzione  della  Repubblica italiana
prevede  che  compito della Repubblica e' rimuovere, non gia' creare,
ostacoli  di  ordine  economico  e sociale che, limitando di fatto la
liberta' e l'uguaglianza dei cittadini, impediscano il pieno sviluppo
della persona umana.
    Peraltro,  il disposto della cui costituzionalita' si dubita lede
altresi' l'art. 2 Cost. che sancisce il valore assoluto della persona
umana, frustrando uno dei diritti fondamentali dell'individuo.
    Violazione dell'art. 24 Cost.
    La  norma  in  questione,  nell'imporre  al  cittadino che voglia
ricorrere  in  sede  giurisdizionale  nei  confronti di un verbale di
contravvenzione  al novellato Codice della Strada una cauzione, e' in
palese  contrasto,  a  parere  di questo giudice, con l'art. 24 della
Costituzione.  Difatti,  l'art. 24,  assicura ai non abbienti i mezzi
per  agire  e  difendersi  dinnanzi  ad  ogni  giurisdizione,  mentre
l'art. 204-bis del nuovo c.d.s. va in direzione del tutto opposta. Si
consideri,  altresi',  il  fatto  che prima della «riforma» di cui si
discute  il  ricorso  al  giudice  di  Pace era del tutto gratuito in
siffatta  materia, ed il cittadino era ammesso a stare in giudizio da
solo, non essendo obbligatoria la difesa tecnica.
    Non  vi  e' dubbio che, a seguito dell'imposizione della cauzione
che, a ben vedere altro non e' che una vera e propria nuova tassa sui
ricorsi giurisdizionali, il sistema e' totalmente cambiato, ponendosi
in netto contrasto con il dettato costituzionale.
    Ne'  vale  l'obiezione  che  il  ricorso  al Prefetto continua ad
essere gratuito, in quanto si tratta del ricorso gerarchico, e non di
tutela giurisdizionale.
    Peraltro, si e' venuta a creare la paradossale situazione per cui
l'eventuale opposizione dinnanzi alla giurisdizione ordinaria avverso
l'ordinanza  ingiunzione  emessa  dal  Prefetto a seguito del mancato
pagamento  della  sanzione  successiva  a1  rigetto  del ricorso, non
sarebbe soggetta ad alcuna cauzione!
    Questo  giudicante  non  puo',  altresi', non rammentare in primo
luogo a se stesso che la Corte costituzionale si e' gia' pronunciata,
sia  pure in materia di cautio pro expensis con sentenza n. 67 decisa
in  data  23 novembre 1960 e depositata il 29 novembre 1960, ad esito
di  pubblica  udienza,  dichiarando  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 98  c.p.c., con i parametri costituzionali ex artt. 3 e 24,
poiche' «dalla combinazione fra le norme contenute negli artt. 3 e 24
della  Costituzione,  si  deduce  che  il principio, secondo il quale
tutti  possono  agire  in giudizio per la tutela dei propri diritti e
interessi  legittimi e la difesa e' diritto inviolabile in ogni stato
del    procedimento,.    deve   provare   applicazione   per   tutti,
indipendentemente  da  ogni  differenza  di  condizioni  personali  e
sociali.  Con  tale principio contrasta l'art. 98 Cod. proc. civ., in
quanto,  prevedendo la inposizione della cauzione a carico di chi non
e'  ammesso  al  gratuito  patrocinio  e nell'ipotesi che l'eventuale
condanna    alle    spese   possa   restare   ineseguita,   ricollega
l'applicazione dell'istituto alle condizioni economiche dell'attore».
    E'  chiaro come il principio secondo il quale tutti possono agire
in  giudizio  per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi
deve  trovare  attuazione  uguale per tutti indipendentemente da ogni
differenza  di  condizioni  personali  e  sociali. Ed e' pacifico che
l'art. 204-bis   ricollega   l'istituto  alle  condizioni  economiche
dell'attore,  e  quindi  proprio  a  quelle  condizioni  soggettive e
personali  o  sociali che l'art. 3 impone di considerare non nfluenti
ai fini della, tutela della eguaglianza giuridica.
    Cio'   anche   tenuto   conto  delle  gravi  conseguenze  (legate
all'inibizione  dell'azione  in  caso  di  mancato  versamento  della
cauzione)  rispetto  all'esercizio dei diritti che l'art. 24 proclama
inviolabili,  nonche'  del  fatto  che  la  disparita' di trattamento
fondata  sulle condizioni economiche non e' necessariamente eliminata
dall'esclusione  dell'applicazione  dell'istituto nell'ipotesi in cui
l'attore  sia al beneficio dell'assistenza giudiziaria, tal beneficio
essendo subordinato alla dimostrazione dello stato di poverta'.
    Ma non si possono neppure ignorare le garanzie di cui agli art. 5
e  14 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo adottata a Roma
il  4  novembre 1950, resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848,
ed  entrata  in  vigore  per  l'Italia  il  26  ottobre 1955. Laddove
l'art. 6  par.  1  garantisce  ad  ogni  persona  un' equa e pubblica
udienza  entro  un  termine  ragionevole,  davanti  ad  un  tribunale
indipendente  ed  imparziale  costituito  per  legge,  al  fine della
determinazione  dei  suoi  diritti  e  doveri di carattere civile; e'
quello che viene solitamente chiamato il diritto ad un equo processo.
Elemento  essenziale  di  tale  garanzia  e'  il  diritto  di adire i
tribunali.
    Certo, tale diritto puo' essere, oggetto di una regolamentazione,
purche'  questa  abbia  per  scopo  la  buona  amministrazione  della
giustizia;  l'accesso ai tribunali deve pero' essere effettivo, e non
reso illusorio da ostacoli di fatto o di diritto.
    Cio'  significa  che, in determinati casi, il costo levato di una
procedura,  sia  per  spese  giudiziali che per l'obbligo di prestare
cauzione   processuale,   puo'  costituire,  per  delle  persone  non
abbienti, un ostacolo che rende concretamente illusorio il diritto di
adire  i  tribunali. Ritenuto pero' che gli organi di Strasburgo, per
valutare  se  vi  sia  stata  violazione  dell'art. 6  par.  1  della
Convenzione  di  Roma,  esaminano  la procedura nel suo insieme, tale
ostacolo  costituisce  violazione  solo se non eliminato, ad esempio,
dall'istituto  della assistenza giudiziaria. Anche dal punto di vista
della  Convenzione  quindi,  detrminante  e'  il  coordinamento degli
istituti della cauzione processuale e dell'assistenza giudiziaria.
    La  cauzione processuale imposta ad un insolvente, e quindi ad un
persona   che   per  definizione  dispone  di  mezzi  limitati,  puo'
costituire  violazione dell'art. 6 par. 1 della Carta di Roma, almeno
nel  caso  in  cui la procedura da questi promossa non sia temeraria.
Cio'  significa che, ove sia negata l'azione e assistenza giudiziaria
alla  parte  tenuta  a  prestar  cauzione  per  motivi  diversi dalla
mancanza  di  possibilita' di successo, la probabilita' di violare la
garanzia di un equo processo e' estremamente elevata.
    Alla   luce   di   queste   considerazioni   appare  estremamente
problematica l'impossibilita' per i non abbienti del diritto di adire
i   tribunali   garantito  dall'art. 6  della  Carta  Europea,  e  di
conseguenza il definitivo ed oneroso ostacolo costituito dall'obbligo
di  prestare  una  cauzione  processuale  ove  si  trovino  in  stato
d'insolvenza  risulta,  molto  probabilmente,  incompatibile  con  la
garanzia di un equo processo.
    L'art.   14   della   Carta   di   Roma  pone  il  divieto  della
discriminazione    nell'esercizio   dei   diritti   garantiti   dalla
Convenzione.  Tale  norma  non  impone  un  trattamento assolutamente
uguale  per tutti, ma esige che, nell'esercizio dei diritti garantiti
dalla  Convenzione,  due  persone di situazione comparabile non siano
oggetto  di trattamento differente fondato su criteri non oggettivi e
ragionevoli;  una discriminazione e' quindi compatibile con l'art. 14
Convenzione   solo   se   persegue  uno  scopo  legittimo  e  non  e'
sproporzionata.  Ed  a  titolo  di  esempio tale articolo cita, quale
tipico  criterio  illegittimo  a  fondare  una discriminazione ... la
ricchezza!.
    Ma  allora  come  non  esser  perplessi  innanzi all'art 204-bis,
d.lgs.  n. 285/1992  che  opera  una  discriminazione,  nel porre una
condizione  al diritto di adire i tribunali, fondata de facto proprio
sulla situazione economica dell'attore?
    Pare,  infine,  non  esiziale  rammentare  anche  che la Legge 18
ottobre  1977, n. 793 recante Abolizione del deposito per soccombenza
nel  processo  civile ha abrogato gli artt. 354, 381 e 651, c.p.c. in
limine  con  la  pronuncia  di incostituzionalita'. L'ssurdita' della
norma   dell'art. 204-bis  d.lgs.  n. 285/1992  e',  per  altro,  ben
evidente   atteso   che   nessun   procedimento   giurisdizionale  e'
subordinato   alla   cautio  iudicatum  solvi.  Talche'  neppure  nel
contenzioso  tributario,  ove  in  caso  del ricorso contro l'atto di
accertamento,  le  imposte  o  le  maggiori  imposte,  unitamente  ai
relativi    interessi    e    alle    sanzioni,   sono   -   a   cura
dell'amministrazione   finanziaria   -   iscritte   a   ruolo   (c.d.
«riscossione  a  titolo provvisorio»), e' richiesto alcun deposito al
ricorrente a pena di inammissibilita'. Ne' questa rileva, o peggio e'
rilevabile  de  plano  (come  nel  caso  che  ci  occupa),  nel  caso
l'amministrazione  finanziaria - accogliendo l'istanza del ricorrente
- sospenda la predetta iscrizione a ruolo.
    Violazione dell'art. 41 Cost.
    Il  primo  comma  del  vigente  art. 2 del regio decreto-legge 10
marzo  1910 n. 149 recita «Tutti i depositi di denaro, che secondo le
disposizioni  vigenti in materia civile e penale possono farsi presso
le  cancellerie giudiziarie, compresi quelli per cauzione e per spese
giudiziarie,  debbono  essere eseguiti direttamente dalle parti o dai
loro  procuratori  nell'ufficio  postale  incaricato del servizio dei
depositi giudiziari.».
    A   prescindere  da  considerazioni,  sulle  garanzie  di  libera
concorrenza  e  mercato  -  che  non  interessano in questa sede, pur
dovendosi  osservare  una  evidente  compressione  per  lo meno della
liberta'   del   ricorrente   di   utilizzare  un  istituto  bancario
(addirittura   quello   di  propria  fiducia,  che,  parafrasando  la
circolare n. 53 del 13 agosto 2003 del Ministero della giustizia D.G.
Giustizia  Civile  e'  certo  un  «organismo  abilitato  a ricevere e
gestire  il deposito», al pari della S.p.a. Poste Italiane - non puo'
non  rilevarsi  un  palese  contrasto innanzitutto con la liberta' di
iniziativa  economica,  laddove  viene  disposto l'esclusivo utilizzo
dell'Ente  Poste,  attesa la privatizzazione del servizio postale con
la  trasformazione  dal 28 febbraio 1998 dell'Ente pubblico economico
Poste   -  come  precedentemente  configurato,  e  come  erroneamente
denominato nella predetta circ. 53/03 del Ministero della giustizia -
in  «azienda Poste Italiane» S.p.a., come dalla stessa pubblicizzato,
con una mission di natura decisamente privatistica.
    Da cio' la evidente incostituzionalita' del combinato disposto di
cui  agli  artt. 2  e  4  del  R.D.L.  149/1910, e 204-bis del d.lgs.
285/1992.
    Violazione dell'art. 113 Cost.
    Per  quanto  ut  supra, l'imposizione della piu' volte richiamata
cauzione  di cui all'art. 204-bis c.d.s. citato, costituisce ostacolo
ovvero limitazione, almeno nei confronti dei cittadini meno abbienti,
della tutela giurisdizionale.
    E  cio'  e'  in  aperto  e  palese contrasto con il secondo comma
dell'art. 113 della Carta costituzionale.
    Si ritiene, quindi, la non manifesta infondatezza della questione
di  legittimita'  costituzionale  e la rilevanza nel procedimento che
non  puo'  essere  deciso  indipendentemente  dalla risoluzione della
predetta  questione,  per la quale appare necessario adire il giudice
delle leggi.